Da Ibrahimovic (39 anni: assist per Kessié e sforbiciatona a Udine) a Cristiano (35 anni: al rientro, gol e rigore a Cesena). La differenza, per ora, è nelle squadre che gli ronzano attorno. Il Milan del dopo lockdown viaggia come un treno. La Juventus del terzo allenatore in tre stagioni, va a sbuffi.
Italiano è un artigiano che ha fatto, dello Spezia, una bottega che difficilmente ti frega: come idea, dico. Poi, certo, i giocatori sono quelli che sono, e la Maginot magari un tantino alta. E a ritmi così lenti, perfino la squadra di Pirlo ha creato, segnato (con Morata, per una volta benedetto dai centimetri del Var), sciupato (con Dybala, con Chiesa, una delle rare volte che la manovra l’aveva tirato giù dall’amaca).
Ma per vincerla è dovuto uscire Dybala, dopo il pareggio di Pobega, con relativo banchetto spezzino al limite dell’area, e atterrare il Marziano. Tocco di Morata, e via. Quindi Rabiot di destro (i cambi, i cambi) e ancora Cierre di cucchiaio.
I passaggi più armoniosi erano di Danilo (sic); intrigava quel McKennie che correva a sporgersi dal davanzale (suo il tocco dell’1-0 moratiano). E Arthur smistava la solita quantità di palloni. Non è ancora la soluzione, non è più un problema. Vi ricordo la massima di Falcao: «Per un centrocampista, il guaio non è perdere palla, è perdere tempo». Ops.
Era il compleanno di Madama, Pirlo veniva da tre pareggi e dalla lezione di Messi. E’ la fase difensiva, come ribadito in Champions, che va restaurata, migliorata. La tendenza ad arretrare dentro «the box» moltiplica i problemi, visto (soprattutto) il Demiral attuale. E Buffon? Non proprio il massimo su Pobega; il massimo, viceversa, sull’incornata di Chabot. Ma gli alluci restano un po’ così: e a 42 anni, hai voglia.
Ricapitolando: palla al piede, progressi. Palla agli altri, no.